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Pechino, 2011. È sera quando un uomo viene scaricato sulla soglia di casa dalla polizia. Sembra stordito, forse ha paura. Un giornalista gli si avvicina ma lui farfuglia solo poche parole, si schermisce: non può rilasciare interviste. È il 22 giugno e Ai Weiwei torna a casa dopo 81 giorni di reclusione. Due mesi prima, l'opinione pubblica mondiale aveva reagito con sconcerto alla notizia dell'arresto del più famoso artista cinese vivente, simbolo di una nuova cultura in lotta per la libertà di espressione in Cina. Attraverso l'arresto di Weiwei, il mondo intero si confrontava con la violenza del regime cinese per l'assenza di diritti fondamentali dell'individuo, per le detenzioni senza un processo che verifichi la responsabilità dei reati, per la mancanza di uno stato di diritto. Le parole di Ai Weiwei raccontano i pedinamenti degli agenti in borghese, la detenzione e il rilascio, le angherie del governo, la rabbia e la frustrazione, ma anche le idee e i nuovi progetti: Barnaby Martin le raccoglie una a una nelle stanze dello studio di Pechino. Insieme ricostruiscono la vita dell'artista: l'infanzia con la madre e il padre Ai Qing - poeta amatissimo in patria - e le peregrinazioni dopo la rottura di Qing con Mao: l'adolescenza e i primi anni a Brooklyn. E poi le opere: la pittura, le creazioni protodadaiste, le performance ironiche e le opere concettuali che obbligano lo spettatore a riflettere sulla realtà, per immaginare e realizzare il cambiamento.